IL VIAGGIO

di Alessandro Ambrosini

Ho sempre preso i “mezzi” a Roma. Non è mai stato solo per il fatto di spostarsi da una parte all’altra di una città, che è un mondo. E’ stata una “necessità” per vedere dentro le pieghe di quel mondo. Nei volti , nelle scarpe che calpestavano quei pavimenti consumati, umidi, sporchi. Per osservare come una linea di un tram o di una metro, siano la metafora del livellamento della società, di un piccolo inferno a gironi. A seconda della fermata, della stazione.

Dalle zone periferiche al centro, i volti cambiano e raccontano. La pelle cambia densità, colore. I visi  perdono spessore, ruvidezza. Si passa dalle rughe profonde di una vita piena di problemi, paure, ansie agli sguardi rilassati, quasi annoiati, rifatti, sorridenti, pieni di denti luccicanti e perfetti dei quartieri più aristocratici di Roma.

Mi sono preparato così ai miei mille incontri, alle mie frequentazioni al limite della legalità. E anche oltre. Perché se vuoi vedere quanto è profonda l’oscurità del mondo, devi essere ben legato al terreno. Devi sapere quando è tempo di riemergere, devi cercare di non cadere nei tranelli che quell’oscurità è sempre pronta a proporti. Devi saper scegliere, ogni secondo, da che parte stare.

E l’ho sempre fatto nella mia vita, da quando a 21 anni, decisi di essere dalla parte più difficile.  Con più oneri che onori. Abituato a vedere le porte chiudersi, o a chiuderle per coerenza. Abituato ad andare controcorrente, a giocare le mie partite della vita, sempre in casa del “nemico”.

La mia Roma a mano armata, nasce ben prima che io decidessi di trasferirmi nella Capitale, per poi restarci tredici anni. Nasce da una linea che ho sempre seguito, senza distanza di sicurezza. Tra il bene e il male. Un confine che bisogna saper vivere, come se fosse una terra di nessuno. Anche se lo spazio di quella linea, molte volte, si è ridotta ed espansa nel tempo. A seconda del momento, delle strade calpestate,  delle esperienze accumulate negli anni.

Nel mio girovagare, non c’è mai stato del tempo che dividesse un luogo dall’altro. Ho sempre usato la stessa porta per entrare e uscire da città, da volti,da storie piene di violenza, coraggio, amore e follia.

La mia Roma, a mano armata, si può riassumere in un  colloquio, che racconta metaforicamente  ciò che poi leggerete. Un faccia a faccia, tra un criminale e un poliziotto della Capitale. Raccontano due mondi, che non hanno età. Possono parlare degli anni 80/90, come di oggi.

Non hanno un volto, non hanno un nome. Ma sono tutti i nomi che leggerete, sono tutti i volti che avrete visto decine di volte. E che vedrete sempre. Non è una sfida questo colloquio a distanza, è una presa di coscienza. Ed è da lì che parte il viaggio. Dalla consapevolezza che le linee si mischiano, si confondono. Per arrivare in due mondi diversi e netti. Questa è Roma. Dove tutto muta nel tempo, per rimanere sempre uguale.

IL BANDITO

Siamo stati banditi della vita, del tempo e del nostro cuore. Abbiamo rubato respiri, emozioni, parole e sguardi di sfida.

Ci hanno insegnato strade dritte da percorrere quando la vita era fatta di cerchi concentrici. Abbiamo tagliato l’aria con i nostri sbagli, imparando dalle ferite lasciate su un corpo che correva nel buio.

Siamo stati protagonisti di una vita che non ha lasciato spazio alle domande su dove volevamo andare e cosa poteva succedere. Siamo stati noi fino alla fine di quei giorni di sangue e cocaina. Siamo stati i carnefici di noi stessi. Siamo stati l’errore indispensabile.

Quando calava il passamontagna, quando sentivi il peso del “ferro” dentro al giubbetto sai che non c’era un treno di ritorno. Hai un biglietto di sola andata. Per il carcere, per un cimitero o per qualche mese di finta ricchezza. Ci siamo presi la vita, il respiro di volti che erano stati bambini come noi. Che han giocato insieme a noi tra l’asfalto della strada. Eravamo sprezzanti e sicuri che nulla poteva capitarci, che niente avrebbe scalfito il potere che avevamo conquistato e che ci han permesso di tenere stretto per anni. Ma niente è eterno e dove non è arrivata la “guardia” ci abbiamo pensato noi. Come tutte le grandi bande che si rispettano. Ci siamo amati e odiati fino ad ucciderci come cani affamati. Quando affamati non lo eravamo più.  Abbiamo scambiato incubi per sogni in quelle notti passate nei night, a guardarci in specchi dove non vedevamo come la mala vita ci stava consumando. Pensavamo di essere immortali e furbi. Nel migliore dei casi, oggi, siamo sorci nascosti”

LA GUARDIA

” Eravamo dentro divise che immaginavamo armature imperforabili per farci coraggio.
Ci chiamavano “guardie”, “madama”, “sbirri” ma eravamo solo uomini e donne. Nomi e cognomi che stavano regalando, giorno per giorno, grammi di vita. Perchè il sangue smettesse di scorrere. Perchè la libertà non fosse solo un mix di consonanti o vocali. Perchè camminare per strada, e rimanere vivo, non era più un diritto. Era una conquista.

Abbiamo regalato giorni, mesi, anni per fermarli. Al netto di una paga che non sarebbe mai bastata neanche per un funerale dignitoso. 
Abbiamo regalato vita nelle nostre scarpe consumate dai chilometri fatti sull’asfalto. Abbiamo regalato il sorriso dei nostri figli, mogli, mariti e fidanzati per delle notti infinite dentro macchine puzzolenti o stesi nell’erba bagnata. Aspettando l’errore. Aspettando di aggiungere nomi e volti in quel teatrino di maschere maligne.

Siamo stati l’ultimo bastione a difesa di una Capitale dove il valore della vita aveva il prezzo di un proiettile. Siamo stati bersagli consapevoli in anni in cui l’odore della polvere da sparo che sentivamo non veniva mai dalle nostre pistole. Dove girare per le strade con le “pantere” era più garanzia di essere un bersaglio che altro.

Ma siamo stati più forti di chi inondava di droga ogni quartiere. Di chi aveva creato un mondo parallelo dove il sangue aveva perso il significato di vita. Ma era solo la macchia sull’asfalto che raccontava di morte e dolore.

Non ci siamo arresi quando siamo partiti dalle nostre città e dai nostri paesi per difendere il nostro domani. Non ci siamo arresi quando le pallottole fischiavano a due centimetri dalle tempie o quando morivamo come mosche con il tritolo siciliano. Non ci siamo arresi mai, neanche quando le maschere maligne che arrestavamo, dopo poco, tornavano a inscenare il loro spettacolo di terrore per le strade della Capitale. Non siamo, o siamo stati, eroi ma uomini con una missione: difendere il futuro”

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